Il Giudizio Universale si può considerare il capolavoro di Giuseppe Salerno, alias lo Zoppo di Gangi, se non altro per la complessità iconografica e iconologica. Il pittore lavorò alla grande tela nel 1629, in piena maturità artistica. In quegli anni, egli era certamente colui che tenea lo campo nell’intero territorio...
Il Giudizio Universale si può considerare il capolavoro di Giuseppe Salerno, alias lo Zoppo di Gangi, se non altro per la complessità iconografica e iconologica. Il pittore lavorò alla grande tela nel 1629, in piena maturità artistica. In quegli anni, egli era certamente colui che tenea lo campo nell’intero territorio madonita (De Castro, 1997, p. 240).
Il Salerno si trova impegnato a tradurre in pittura un’elaborazione teologica sul tema del Giudizio Universale estremamente dotta e complessa, con riferimenti testuali alle Sacre Scritture, concepita specificamente per l’occasione (Valenziano, 2009). Aspetto, quest’ultimo, che dispensa dalla ricerca di un unico modello di riferimento iconografico, qual è stato considerato in passato il Giudizio di Michelangelo, laddove invece il Salerno deve aver fatto ricorso ad una molteplicità di spunti, adeguandoli alle sue esigenze espressive (Accascina, 1935, pp. 2-3).
Dal punto di vista strettamente figurativo, l’opera raccoglie in sintesi i principali aspetti che la circolazione culturale tra l’area madonita e la palermitana poteva offrire a quella data ad un pittore come il Salerno. La composizione si allontana nettamente dalla circolare “centrifuga” del Giudizio michelangiolesco per essere concepita nella più classica pala a due registri: superiore e inferiore (De Castro, 1997, pp. 240; 242).
Nella superiore si trova la sfera celeste: Cristo giudice, la «Deesis ristretta ed allargata», i dodici apostoli, i santi innocenti e, ancora più in alto, l’arma Christi. Il Salerno ha esteso la “supplica ristretta” a san Giuseppe, in ginocchio accanto e dietro Maria. Non è usuale né fortuito. La presenza del Santo fu l’occasione di un ingigantimento verso la sua devozione, sia nel culto liturgico sia nella pietà popolare. Nel registro inferiore è raffigurata la sfera terrena: una schiera di beati si dirige ordinatamente verso la porta del paradiso, mentre una folla disordinata e scomposta di reprobi viene catapultata verso la porta dell’inferno, rappresentata da una “piscitrice”, spaventoso mostro marino che inghiotte i dannati.
Nel segno della cultura allargata e ricettiva è possibile riconoscere nel Giudizio alcuni apporti da ricondurre all’ambito di una certa maniera fiamminga diffusa tra Napoli e la Sicilia alla fine del Cinquecento e oltre. Dalla conoscenza di pittori quali Memling, Bruegel, Bril, Cobergher, El Greco, sembra essere derivata al Salerno la sensibilità verso un tipo composito di costruzione. Di derivazione iconografica interamente nordica, se si esclude un forte influsso del Giudizio Universale di Giotto, risulta la manifesta crudezza e verità della rappresentazione dell’inferno, riferibile a Memling, Bosch e ad El Greco. Le enormi fauci del mostro marino si spalancano rivelando un antro infernale traboccante di un’enorme folla di dannati.
Lo skyline di un paesaggio fa da spartiacque tra il registro superiore e quello inferiore. Il paesaggio raffigurato è alquanto complesso; esso, a destra di chi osserva, è costituito da una chiostra di rocce spaccate e fumanti, al modo di Hieronymus Bosch, che soffoca il campo del Tartaro, mentre a sinistra si apre verso un ambiente più dolce e collinare. Il paesaggio raffigurato non è inventato, ma Giuseppe Salerno, come artista e produttore, ha avuto l’ispirazione di ritrarlo in contrada Regiovanni, nel territorio di Gangi, località nota sin dall’epoca preistorica e soprattutto dal Medioevo per la presenza del castrum di Rahal Iohannis, che impone il nome alla contrada (Franco 2016, pp. 100-105; 2021, pp. 24-30).