La tela raffigurante Cristo alla colonna, oggi conservata all’interno della Civica raccolta d’arte di Corinaldo, fu per la prima volta attribuita a Claudio Ridolfi (1560-1644) da Marisa Baldelli nel suo saggio dedicato al pittore veneto in cui l’opera viene datata al 1638 con una provenienza ancora sconosciuta. È grazie ai...
La tela raffigurante Cristo alla colonna, oggi conservata all’interno della Civica raccolta d’arte di Corinaldo, fu per la prima volta attribuita a Claudio Ridolfi (1560-1644) da Marisa Baldelli nel suo saggio dedicato al pittore veneto in cui l’opera viene datata al 1638 con una provenienza ancora sconosciuta. È grazie ai documenti conservati presso l’Archivio Vescovile di Senigallia che oggi possiamo con certezza affermare che Ridolfi realizzò questo dipinto per la Chiesa di S. Maria di Piazza della Compagnia del Gonfalone almeno dieci anni prima rispetto alla datazione proposta dalla Baldelli.
Nella tela in primo piano la figura isolata ma dominante di Cristo è legata per le mani ad una colonna, dalle ombre di fondo emergono pochi elementi riconoscibili: la frusta di cuoio e quella aculeata e la facciata di un edificio in lontananza. I primi due elementi, le due fruste, riconducono all’episodio immediatamente precedente, ovvero la Flagellazione. Nel dipinto del Ridolfi sono tagliate via tutte le figure compartecipanti alla Flagellazione per isolare la figura di Cristo che grazie a brevi colpi di pennello e improvvisi bagliori emerge luminosa dalle ombre del fondale scuro. Il contrasto chiaroscurale rimanda ad un influente caravaggismo assimilato attraverso le opere di artisti come Orazio Gentileschi attivi in questi anni nelle Marche. La forte plasticità dei volumi e la posa elegante, anche se innaturale, di Cristo mostrano la conoscenza da parte del pittore dei risultati della scultura manierista veneta nonché la pittura del Veronese, da cui deriva anche la quinta architettonica di fondo. Ultimo elemento che emerge dal buio del fondale è infatti la facciata di un edificio che nel suo insieme di arcate a tutto sesto e colonne sembra andare a creare un loggiato su due piani, un chiaro richiamo all’architettura di importanti artisti veneti come Sanmicheli, Sansovino e Palladio a cui la costruzione dipinta si ispira unendo parti diverse di famosi edifici.
Questo richiamo consapevole e volontario ad elementi dell’arte veneta insieme con altre analogie interne alla produzione di Ridolfi (ad esempio la gamba piegata di Cristo si ritrova similmente in altre opere degli anni venti) ha fatto preferire come ipotesi di datazione il periodo che va dal 1621, data del suo ritorno nelle Marche dopo il soggiorno a Verona a cui segue un riemergere della sua formazione veneta, e il 1627, data ante quem posta dal sopracitato inventario della chiesa che costituisce dunque un termine importante per la collocazione cronologica dell’opera all’interno della produzione del pittore.
Claudio Ridolfi, sebbene di origini veronesi, acquisì notevole importanza nel panorama artistico marchigiano del Seicento. Nacque a Verona nel 1570 da una facoltosa famiglia che lo incoraggiò a trasferirsi a Venezia come allievo di Paolo Caliari, detto il Veronese. Successivamente si spostò a Roma dove incontrò Federico Barocci, che seguirà ad Urbino nel 1565. L’incontro con Barocci fu fondamentale per il Ridolfi, l’urbinate non gli fu solo maestro, ma anche sincero amico. In questo periodo gli spostamenti del Ridolfi tra Verona e le Marche furono assai frequenti, intrattenendo rapporti con numerosi artisti che contribuirono alla sua maturazione. Alla morte di Barocci, nel 1612, si trasferì a Corinaldo città natale della moglie, acquistando casa nella piazza il Terreno come ricordato da una lapide. Qui lavorò intensamente realizzando numerose opere di soggetto sacro, con commissioni da ogni parte delle Marche dove ormai godeva di grandissima fama. Artista eclettico e assai prolifico, durante la sua lunga attività pittorica lavorò sia per la committenza pubblica che per quella privata ed ecclesiastica. Il Ridolfi ha lasciato a Corinaldo molte opere che arricchiscono e impreziosiscono gli interni delle numerose chiese della città e del suo territorio, nonché la Civica raccolta d’arte a lui dedicata.