Tra le bellezze del borgo di Collalto Sabino merita senz’altro un posto d’onore l’antica chiesetta dedicata alla martire siracusana Santa Lucia; già esistente come piccola pieve nel 1153 al tempo di papa Anastasio IV che la gratificò con varie indulgenze, si vide riconfermata la sua appartenenza all’antica diocesi reatina nella celebre Bulla di papa Lucio III al vescovo filo normanno Dodone. Poi nell’elenco di tutte le chiese della diocesi voluto dal vescovo Tommaso I detto il Correttore nel 1252 la ritroviamo già trasformata in chiesa monastero nel quale vivevano delle francescane seguaci di Santa Chiara e dei frati. Non escluso che il piccolo monastero sia stato fondato proprio da due consorelle di Chiara, Beatrice e Pacifica che vennero inviate dalla santa a Rieti, poco prima della sua morte, per dargli la regola francescana. La chiesa monastero acquistò sempre più importanza essendo il fulcro religioso dell’intero territorio appartenuto ai conti Berardi e successivamente ai da Collalto. Divenne persino abbazia ma già nel 1474 risultava abbandonata da monache e frati e ridotta a semplice beneficio.
Poi, con la soppressione dei piccoli conventi decisa dal Concilio Tridentino, la chiesetta divenne luogo di sepoltura della popolazione di Collalto. Sotto l’amministrazione del barone Alfonso Soderini, che l’acquistò dalla vedova di Roberto Strozzi, la chiesa venne restaurata ed abbellita con degli splendidi affreschi realizzati dal pittore di Orvinio Vincenzo Manenti (1600-1674) e dai suoi allievi tra il 1619 ed il 1623. Alcuni realizzati nelle pareti laterali all’altare centrale sono andati irrimediabilmente perduti mentre ci resta il bellissimo affresco dell’altare che rappresenta la Madonna con bambino rappresentata simbolicamente come la Madonna di Loreto sostenuta sopra la chiesa da due angeli con a sinistra Santa Lucia che mostra nella coppa gli occhi del suo martirio, sulla destra Santa Caterina d’Alessandria con la ruota dentata e la verga, davanti a due angeli e tra le nubi che attorniano la figura della Madonna, s’intravedono vari cherubini. Quest’affresco venne fatto restaurare dall’Abate e Rettore della chiesa Giancesare Domenici a sue spese e lo fece racchiudere all’intero di un arco con i colori del suo stemma nobiliare ben visibile al suo apice.
Vincenzo Manenti era figlio d’arte: suo padre Ascanio ebbe come maestro il celebre pittore Roncalli. Il Manenti scelse di operare prevalentemente in provincia, specializzandosi in scene di soggetto sacro con forte valenza ritrattistica e con la cultura figurativa tardo manieristica romana. Ebbe come maestri inizialmente il Cavaliere Arpino ( Giuseppe Cesari) e sicuramente il Domenichino (Domenico Zampieri). Sappiamo che venne allontanato da Canemorto (Orvinio ) per aver aggredito una fanciulla rifugiandosi in Abruzzo dai nobili reatini Ricci. Una volta risolti i suoi guai, fece ritorno nel reatino dove decorò moltissime chiese, tra cui la cattedrale di Rieti, l’abbazia di Farfa.